Gruppo Alpini "Don L.Agostini" Cogollo del Cengio


Vai ai contenuti

alpini raccontano

storia

MEMORIE DI UN ALPINO
Correva l'anno 1966 un alpino in Altoadige ( Da Fetre a Colle Isarco)
Mi chiamo Arturo Zorzi, sono nato a Cogollo del Cengio nel 1945. Sono uno di quelli che durante la crisi del terrorismo in Altoadige si trovarono a fronteggiare sul campo le insidie degli attentati.
Oramai avevo gia varcato l'anno di naja e per me si profilava il rientro a casa, negli ultimi giorni di settembre mi trovavo in forza alla Brigata Cadore, 7 reggimento Alpini, Btg Feltre, 125^ compagnia mortai da 120. Erano gli ultimi giorni di settembre dell'anno 1966 quando qualcuno venne a chiamarmi:"Ti vuole a rapporto il capitano Solito".Ne fui stupito e anche un po allarmato, mi chiedevo che cosa poteva dirmi; in casi del genere il soldato tende sempre a pensare negativo. La conversazione fu breve: "Zorzi, sei diventato nonno, mi serve un sergente che al momento non ho a disposizione,perciò ti voglio promuovere a tale grado; tempo tre ore, armi e bagagli in spalla e vai in Altoadige". Nemmeno il tempo di replicare. Gli ordini non si discutono, un po' confuso risposi: "Signorsi, signor capitano"e fu così che, senza avere il tempo di rendermene conto, mi trovai di servizio a Colle Isarco con altri 11 compagni a sorvegliare un casello e un tratto di ferrovia, agli ordini del capitano Giannuzzi: per quanto ai gradi di sergente fossero rimasti teorici, spettava a me di fatto il comando di quella pattuglia, stabilire i turni di guardia e curare l'organizzazione e la logistica. Ma il mio grado effettivo rimaneva quello di caporalmaggiore
DI GUARDIA AL CASELLO FERROVIARIO N° 222
Il nostro compito consisteva nella vigilanza, mediante turni di guardia di due ore, del casello e di circa 200mt di ferrovia a nord e a sud del piccolo manufatto;saremmo dovuti rimanere una ventina di giorni per poi avere il cambio,ma nessuno venne a sostituirci e pertanto ai primi di novembre eravamo ancora al nostro posto. La situazione logistica non era delle migliori, non un bagno per lavarci, non una latrina per i bisogni fisiologici, per i quali era giocoforza utilizzare il bosco vicino. Per fare una doccia si doveva salire ogni settimana nel piccolo paese dove c'era una casermetta militare, che più tardi fu fatta saltare in aria. Erano giornate di tensione, si dormiva vestiti e con il colpo era sempre pronto in canna. Quando si avvicinava qualcuno, alla parola d'ordine si doveva avere in risposta una parola specifica, diversamente l'ordine era di sparare e vista. Nelle notti scure si avvertiva un silenzio inquietante, i nervi erano tesi a fior di pelle. Il contesto ambientale faceva presagire azioni di guerra ed era considerato a tutti gli effetti zona di guerra. Dentro una baracca di legno in un orto era nascosto un carro-armato, credo si trattasse di uno "Sherman" americano, peraltro mai utilizzato e soldati americani circolavano nelle vicinanze, fra i quali destavano stupore alcuni militari neri, che per noi erano una novità. Insomma si respirava un'aria pesante, anzi misteriosamente minacciosa. Non per nulla la nostra paga era stata portata da 156 a 1100 lire giornaliere. L'inizio non fu dei migliori; infatti la prima notte, prima ancora di prendere confidenza con il nuovo incarico, si subì un attentato: nell'oscurità alcuni sconosciuti erano penetrati nella zona di nostra competenza. Stavano a circa 150 metri lungo i binari, la sentinella ci fece avviso. "Chiedi la parola di contrordine dissi, e se non rispondono spara". Nessuna risposta. Allora sentii una raffica del fucile mitragliatore; una sventagliata di almeno 150 colpi risuonò nel buio. Tornò il silenzio; pensai che sarebbe stato pericoloso uscire allo scoperto, meglio attendere il chiarore dell'alba. Ad essere sinceri le batterie delle pile erano piuttosto scariche e in quelle condizioni non sarebbe stato saggio ispezionare il sito. Appena la luce del giorno tornò ad illuminare il campo ci rendemmo conto che gli ignoti visitatori notturni avevano levato le pietre da sotto le traversine, scavando una buca di circa mezzo metro di profondità. l'obiettivo era facilmente intuibile: lì poteva essere collocata una grossa quantità di esplosivo, capace di far saltare per aria un convoglio. Ben presto intervenne la Polfer e la sicurezza della ferrovia. La linea fu tempestivamente ripristinata. Bisogna aggiungere che i treni passeggeri erano sempre preceduti da una macchina viaggiante sui binari,con due o tre persone a bordo,che garantiva l'agibilità della ferrovia, ispezionando la tratta dei binari. Per di più ogni due giorni passava regolarmente un addetto che batteva con un palo di ferro la rotaia, riuscendo a capire dal suono se la stessa era integra o se fossero intervenute delle manomissioni. Ogni imprevisto ci faceva sobbalzare, quando un oggetto, un'ombra, un animale o un semplice fruscio attiravano la nostra attenzione. Un giorno mi trovavo all'aperto,quando vidi sulla ferrovia un vagone merci che scendeva senza controllo, mentre un convoglio stava viaggiando in direzione opposta sullo stesso binario;con i miei compagni mi resi subito conto che l'impatto sarebbe stato inevitabile, violento e devastante e che nulla avremmo potuto fare per evitarlo:inutili le grida e i gesti disperati di avvertimento. Lo scontro fu tremendo: il vagone mazzo vuoto salì sopra la motrice del treno in un groviglio di ferraglia;si temette per la sorte dei macchinisti,che si pensava fossero morti fra le lamiere contorte. Per fortuna al momento dell'impatto si erano sdraiati sul pavimento della motrice e sia pure sanguinanti si poté estrarli e portarli in salvo. Non avevamo dotazione sanitaria,alla fine li lavammo dal sangue in attesa di un'ambulanza che gli portasse in ospedale. Anche l'elettricità era interrotta, ma in meno di sei ore la ferrovia fu riattivata; una locomotiva a vapore arrivò con una potente gru per sollevare i mezzi deragliati e liberare così la linea. Comunque malgrado le apparenze non fu un attacco terroristico ma un errore di manovra nella vicina stazione mandando il carro nella direzione sbagliata e provocando così l'incidente. Un'altra volta era stato notato un sacco di plastica alla base di un ponte; la vista del sacco gonfiato dalla pioggia bastò a mettere in allarme la polizia fino a quando non si scoprì l'innocua consistenza di quello che era semplicemente un rifiuto abbandonato poco civilmente da persone per nulla rispettose dell'ambiente. Difficile negare che la paura era padrona di ogni nostro comportamento.
LO SPIRITO ALPINO
Eravamo giovani, certo un po' timorosi ed insicuri, ma non abbiamo mai dimenticato di essere alpini,solidali e fraterni veniva ogni giorno a trovarci nella nostra piccola ridotta un ragazzetto di circa 10-12 anni; ci raccontava che la sua famiglia era in difficoltà,forse per questioni si disagio sociale,non si sa per quali specifici problemi. La cosa evidente era la fame, si avvicinava senza sospetto, a lui, forse incautamente,non chiedevamo la parola d'ordine;stava con noi e mangiava avidamente,poi se ne tornava a casa. Chissà chi era,il nome non lo ricordo, conservo però una foto, scattata all'epoca con una macchinetta che mi era stata regalata di fresco;mi piacerebbe oggi avere l'occasione per incontrarlo.
IL CUOCO
Qui non c'era cucina e dovevamo arrangiarci alla meglio fra noi; certo arrivavano gli alimenti,pasta e scatolette varie, ma i piatti erano del tutto improvvisati; il comandante un giorno ci presentò un commilitone, sedicente cuoco. "ora i vostri problemi sono finiti"disse con molto ottimismo,"eccovi un cuoco capace di soddisfare ogni vostra necessità". L'allegria fu generale,ma la delusione stava dietro l'angolo. Appena l'ufficiale se ne fu andato questi confessò di non saper nulla di cucina, perché da borghese faceva tutt'altro lavoro. Insomma si capì che era il classico imboscato, mi ricordai che il comandante ero io. Allora gli diedi immediatamente la consegne per i turni di guardia in modo che avesse di che riflettere circa i suoi giochetti. E così si dovette proseguire con il vecchio metodo della buona volontà e dell'improvvisazione; ma grazie alla nostra gioventù e allo stato di necessità la cucina in fondo non era così male; una volta si progettò un minestrone, che usci dalla pentola talmente dura da dover tagliarlo con il coltello; dover mangiarlo a fette,fu una vera goduria per la gola.

ALL'OSTERIA
La doccia, su alla casermetta do Colle Isarco, era stata piacevole,anche se no c'era la possibilità di cambiare gli indumenti e pertanto avevamo dovuto di nuovo indossare quelli sporchi; però all'uscita per allentare la pressione ppsicologicasi pensò di entrare in un osteria del posto per bere un buon bicchiere di vino. Non era una grande ideaperchè era prevedibile che l'accoglienza non sarebbe stata delle più cordiali; si entrò e c ci si avvicinò al banco, mentre i pochi avventori ci osservavano con sguardo gelido dai loro tavoli. "Tre calici di rosso" dissi rivolto all'oste impietrito al suo posto di mescita. Nessuna risposta, come se non esistessimo, inutile ripetere la richiesta per due tre volte, totalmente ignorati . Nel frattempo arrivò al banco un uomo residente,che,una volta ordinato un bicchiere di vino fu immediatamente servito. "qua non si cava un ragno dal buco" dissi agli amici "è meglio se ce ne andiamo" ed ero sul punto di girare i tacchi e riguadagnare l'uscita. Ma uno dei miei compagni non era di quest'avviso, anzi l'aveva presa molto male ; impugnò di traverso il fucile e con il calcio si mise a battere violentemente contro il bancone. "attento che parte il colpo" gli gridai preoccupato, ma quello non smetteva. Ancora quattro colpi ben assestati e in breve fu chiaro che,se avesse continuato ancora un po' avrebbe sfasciato il locale. Potenza dei gesti! In un momento, senza ulteriori domande e spiegazioni tre bicchieri di vino rosso furono posati sul bancone. Li vuotammo degustandone il contenuto con un piacere sottile,quindi si pagò il conto e solo allora con un misto di soddisfazione e di leggero timore si lasciò l'osteria.
I RAGAZZI DEL "VALCHIESE"
Ogni giorno passava dal nostro posto di guardia una ronda del "Valchiese": li vedevamo apparire e scomparire sui versanti ripidi della montagna. Si chiedeva dove fossero diretti ma la loro risposta era: "Non possiamo, segreto militare". Però dopo un po', una volta fatta amicizia e conquistata una certa confidenza, non ebbero difficoltà a dirmi dove andavano,tanto che potei seguirli fino alla fine del sentiero che all'apparenza finiva contro una roccia impedendo di proseguire. Però appena scostato un masso con un congegno, vidi aprirsi un passaggio che immetteva in una serie di grotte, di incredibile grandezza;dentro c'era di tutto, viveri in scatola, razioni K, armi e ogni cosa necessarie al rifornimento e alla sopravvivenza di grosse unità dell'Esercito. Più che meravigliato, ne fui veramente sbalordito.


TEMPO DI CALAMITA'
Fu un periodo molto piovoso tanto che una notte la postazione di guardia crollò e la sentinella rimase sotto un ammasso di assi di legno, che, cadendo sulle gambe del malcapitato,gli impedivano di liberarsi; fu decisivo il nostro intervento che valse a liberarlo dalla scomoda posizione in cui si trovava. Il tempo minaccioso avrebbe di li a poco provocato gravissime alluvioni nel Nord Italia, su Firenze e anche nella mia provincia di Vicenza, con le storiche inondazioni del 4 novembre 1966. Appena dopo questa data, venne a trovarci un ufficiale " Ci sono vicentini fra voi?" disse. Mi feci avanti io ed un alpino di Lonigo. " Domani andate a casa perché le vostre terre hanno subito una grande alluvione". Ci guardammo in faccia sorpresi, non sapevamo se essere contenti o preoccupati. Raccolte la nostre cose, il giorno dopo potevamo osservare gli affetti terribili del disastro naturale dalle nostre parti. Sopra un paese vicino, la montagna era rigata da una lunga fessura trasversale; era la frana del Brustolè che minacciava l'abitato di Arsiero.
CONCLUSIONI
Sul triste fenomeno del terrorismo Altoatesino mi son sempre posto due domande:
1) Perche i terroristi avevano sempre di mira i tralicci elettrici e la ferrovia, ignorando i cantieri dell'autostrada del Brennero allora avviati? Azzardo una risposta: probabilmente chi li comandava aveva interesse a far proseguire tranquillamente i lavori ritenuti utili all'economia del territorio.
2) Ma l'interrogativo più inquietante era il seguente: perché noi Italiani dovevamo fare la guardia e difenderci da altri ITALIANI ???

Memorie dell'Alpino ZORZI Arturo, scritta da Enzo Segalla
Cogollo del Cengio 22 dicembre 2011

Home Page | avvisi | il gruppo | storia | album fotografico | contatti | Mappa del sito


Menu di sezione:


Torna ai contenuti | Torna al menu